" TEMPUS MUTANDIS" 5 maggio > 3 giugno 2012
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"Tempus mutandis" | ph. Enrico Fuochi ©
"Tempus mutandis"
P R E S E N T A Z I O N E
Con Enrico Fuochi, si inaugura il primo evento del terzo anno di attività espositiva proposta da Phf Photoforma presso lo Spazio Pretto di Trento.
Enrico Fuochi è un autore affermato, decisamente eclettico e creativo e che fonda la sua lunga esperienza fotografica sia in un’intensa attività di ricerca personale, sia, sotto il profilo teorico, negli studi sul linguaggio, l’estetica e la critica fotografica compiuti al DAMS di Bologna.
La proposta di “Tempus mutandis” trae fondamento da quell’impegno alla sperimentazione e dalla capacità di “costruire immagini” e “raccontare storie”, che sono peculiarità operative ed espressive di Enrico Fuochi. Come ho avuto modo di scrivere nella presentazione del suo penultimo importante libro “FotoStorie di ordinaria immigrazione”:
“… Quella di Fuochi è una fotografia “lenta”, costruita, ancor prima che eseguita, entro uno spazio mentale che non lascia nulla all’improvvisazione o al caso. Enrico,elabora la struttura delle sue “invenzioni” fotografiche secondo precisi script concettuali e metodologici. In un certo senso, superando il rischio di una connotazione “fredda” o troppo “razionale” derivante dal termine, mi sentirei di dire che Enrico Fuochi è “un’analista”. Per precisione, al fine di comprendere la corretta prospettiva con cui intendere questo termine, aggiungerei: un “analista situazionale …”
Nello specifico caso di “Tempus mutandis”, l’immagine fotografica, anche grazie all’intenzionalità dell’autore di giocare letteralmente su una possibile, quanto bislacca e spiritosa, designazione del titolo, diviene parodia di una condizione di evidente surrealtà.
Fuochi inventa immagini nelle quali l’Oggetto non è frutto di un “ritrovamento” (come avviene nella più prevedibile fotografia reportagistica o di street), ma è composto e “assemblato” dallo stesso autore secondo soluzioni che, apparentemente oniriche e prive di collegamento con la realtà, sono figlie di un preciso intento concettuale, razionale e basate sulla conoscenza del linguaggio fotografico e del suo duttile potenziale. Le immagini della serie “Tempus mutandis”, un po’ come quelle, enfatiche, paradossali (e talvolta inquietanti) del fotografo surrealista David Lachappele, hanno il privilegio/svantaggio della dicotomia: possono piacere o non piacere. Appartengono, salvo possibili declinazioni ad indulgenze linguistico/interpretative, al genere “on/off”.
Per interpretare queste foto, occorre rifarsi sia alla visione dell’autore sul mondo degli uomini e delle cose, caratterizzata costantemente da un umorismo amaro e mai prevedibile, sia alle forti suggestioni che alcuni autori possono aver esercitato nel suo pensiero (da Man Ray in primo luogo, per giungere al geniale Uelsamm e al suo celebre articolo del 1996: “Post-visualization”; con il quale egli affermava il superamento del momento creativo – limitato al solo momento dello scatto – con le teorie sulla pre-visualizzazione e quelle basate sulla straight photography).
Le fotografie di Fuochi non trascendono o deformano il reale. Nella sue invenzioni la plausibilità situazionale non è mai messa in crisi dalla costruzione scenica e il “reale” non viene mai deformato. La forza di queste immagini, aldilà ed oltre l’evidenza di ciò che lo stesso Fuochi scrive, risiede nell’intrinseca ed amara ironia dei personaggi e nel porli, in relazione agli elementi che sono oggetto della riflessione critica di Fuochi, completamente “svestiti”, in senso figurativo e concettuale, della loro fragile identità sociale. Una prospettiva che considero, con grande interesse, autenticamente esistenzialistica.
Per la comprensione del lavoro di Enrico Fuochi è interessante leggere quanto lo stesso autore ha proposto nella presentazione del suo lavoro:
Fin dai tempi della sua nascita, si è spesso discusso su quale sia il ruolo della fotografia e che posto ad essa debba essere riservato nel mondo delle “Arti visive”. Personalmente, tra le molteplici risposte che ho ipotizzato, ho sempre ritenuto che la fotografia debba essere un mezzo per rendere fruibile un’idea e che la sua vera essenza vada ricercata in una sintesi tra il processo pratico, estetico e concettuale. Seguendo il mio convincimento che le potenzialità concettuali non devono essere soffocate dal fascino dell’estetica, ho concepito, ambientato e costruito scenograficamente queste immagini sforzandomi di non tralasciare l’aspetto compositivo, ma anche pensando alla fotografia non come documentarietà semplicemente strumentale ed a volte arida, ma come strumento espressivo di natura concettuale. Le immagini di “Tempus mutandis”, tempo del cambiamento, non sono immagini di vita,ma situazioni assurde che, anche se ambientate in luoghi urbani, non rientrano certo nella tipologia delle streetphotograpy di marchio bressoniano. Rappresentano un percorso che mi sono sforzato di rendere intrigante filtrando la realtà con l’assurdità delle situazioni. La surrealtà delle ambientazioni è strumentale alla riappropriazione di una libertà che sopravanza, grottescamente,il mondo delle finzioni e delle apparenze del nostro quotidiano. Ho creato le immagini di Tempus mutandis con la consapevolezza che possono far trasparire, ad un primo acchito, un senso di ilarità, ma anche con la convinzione che oltre a far discutere sul loro contenuto, faranno sicuramente riflettere l’osservatore più attento e meno superficiale. Tempus mutandis è sì un gioco di parole ambiguo, ma è altrettanto vero che il suo contenuto, attraverso un simbolismo ben definito, mostra l’uomo spogliato della sua vanità (e non solo in senso figurativo) a contatto con quanto da lui ideato e costruito: architetture, manufatti, arte, tecnologia e quant’altro. Privando la persona della sua dignità ho messo a nudo la sua finitezza nell’alterità delle cose da lui create, cose che con il tempo mutano e vengono restituite al mondo naturale mostrando l’originaria accidentalità dell’uomo.
[Enrico Fuochi] ©
Trovo interessante citare un semplice paragrafo, del critico Maurizio G. De Bonis che, con grande acutezza, scrive:
“La natura della fotografia è inafferrabile, imperscrutabile, onirica. Si tratta di una disciplina che si situa in un territorio “altro”, territorio che può essere esplorato solo grazie a un lavorio mentale continuo, che nulla ha a che fare con l’atto fisico dello scatto. La fotografia non può che essere allusiva ed enigmatica, poiché prima di tutto è possibilità di interconnessione tra luce e segni del mondo visibile, combinazione infinita di elementi.”
Luca Chistè / Phf Photoforma © | aprile 2012 |
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