"MADRID. WIEDERAUFBAU. 3" 7 maggio | 5 giugno 2011
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Madrid. Wiederaufbau 3.
Sembrano astronavi uscite dal limbo dei nostri sogni le immagini di Matteo Fedrizzi. Squarci di luce che emergono, come allucinazioni della visione o luoghi del surreale, dal profondo buio dellenotti di Madrid. Immagini che sembrano costruite per interpretare un aforisma di Kahlil Gibran: “Non si può toccare l'alba se non si sono percorsi i sentieri della notte” o l’acuta osservazione del geniale Picabia: “L'ottimista pensa che la notte sia delimitata da due giorni, il pessimista che un giorno sia delimitato da due notti”.
L’idea di proporre questo autore è venuta da due diverse consapevolezze: la prima riguarda l’idea che il paesaggio urbano possa prestarsi a personali ricerche capaci di trascendere le “noiose” e prevedibili interpretazioni a cui da molto tempo la fotografia (nostrana o meno) ci ha abituato (interpretazioni che, anche se accademiche, letterarie, storiche… Sempre e comunque noiose rimangono…). La seconda è connaturata a questa specifica ricerca. La notte. L’idea di “scavare”, quasi famelicamente, nel buio. Per interpretare, al limite “dell’impossibile fotografico”, ciò che la materia luminosa, emergente dagli spazi reconditi del paesaggio urbano, è in grado di suggerire e di suggestionare…
Per comprendere questo lavoro è necessario rifarsi alla formazione di Matteo Fedrizzi e al suo background professionale. Una cosa che diviene ancor più evidente se, cercando una chiave di lettura, per questa sua (ri)costruzione segnica [“Wiederaufbau” significa “ricostruzione”], ci si reca a far visita al suo sito. Qui si ritroveranno pesanti indizi di autentica coerenza fra ciò che questo lavoro propone e le altre attività di ricerca fotografica di Matteo Fedrizzi. L’autore, ecco svelato l’arcano, possiede una fortissima sensibilità grafica poiché di questo (ma non solo di questo), egli si occupa per mestiere. Le fotografie di questa serie, e di tutte quelle realizzate nelle sue attività di ricerca, sono caratterizzate da un’assoluta eleganza formale e figlie di un preciso studio compositivo. Un’interpretazione della propria “photo poétique” resa possibile sia dal tessuto formativo in cui Matteo ha sviluppato la propria preparazione, sia dalla dimensione professionale in cui egli opera.
Matteo Fedrizzi, imprevedibile giocoliere della luce, “smonta” e “rimonta” le luci della notte per farne tasselli luminosi che offre, con genuina onestà intellettuale, allo sguardo dei fruitori.
L’autore sembra volerci indicare una strada ben precisa: ruotate, per qualche istante, il magico caleidoscopio della visione convenzionale e scoprite quante cose, inaspettate, possono disvelarsi ai nostri occhi [si veda, proprio per questo specifico aspetto, quanto descritto dall’autore al successivo paragrafo: “Verità e metamorfosi”].
Seguiamo quindi Matteo, con interesse, nella descrizione metodologica e creativa che egli stesso ci offre e che qui abbiamo quasi integralmente riprodotto:
Il momento
Se tutto cambia e si trasforma, in una metropoli in continuo movimento come Madrid questo risulta particolarmente evidente. Il progetto prende il via dalla considerazione di come il momento in cui avviene l’osservazione cambi la percezione dello spazio urbano dello spettatore. Gli edifici che sono “ritratti” e rielaborati in questa serie sono il cuore pulsante dell’attività economica di Madrid, sedi di numerose società nazionali ed internazionali, banche ed uffici, che di giorno accolgono centinaia di lavoratori. Di notte si verifica un cambio radicale e tutta l’area subisce una profonda trasformazione, spopolandosi quasi completamente. Passeggiando di notte per queste strade, si scorgono a mala pena alcune luci accese. In poche ore, di tutto il viavai di persone restano solo poche, timide finestre illuminate, isolate, che compongono un panorama ben distinto da quello diurno. In questa ricerca fotografica, in questo racconto grafico, le poche finestre solitarie si cercano, si rincorrono e si riaccorpano, convertendo la propria solitudine notturna in un’altra possibile architettura, in nuovi, improbabili ma possibili, spazi di aggregazione.
Verità e metamorfosi
Quanto detto si lega con il sostrato più profondo e struttura portante del lavoro, che è una declinazione di tipo estetico e visuale del concetto di verità dal punto di vista della dicotomia apparenza-essenza: i dettagli degli edifici si convertono in nuove strutture architettoniche, creando l’illusione di altre costruzioni urbane. In un certo senso si tratta di cambiare il punto di vista dell’osservatore (sia narratore o fruitore) per alterare la sua percezione della realtà. Così le finestre diventano piccole tessere di un mosaico contemporaneo che danno luogo ad una ipotetica ricostruzione della città. Quello che sembrava essere ora è altro e il risultato è solo uno dei molteplici possibili; metamorfosi. Come pennellate in un quadro divisionista, gli elementi architettonici, osservati nel loro insieme, danno vita ad un’immagine collettiva nuova e differente, offrendo all’occhio dello spettatore un’altra opzione, un’altra realtà possibile.
Gli oggetti fotografati cambiano il loro significato quando si mescolano e si rielaborano; quando si lavora su essi e con essi, la visione dello spazio urbano come lo conoscevamo prima può essere ribaltato. I dettagli non si sommano meramente gli uni agli altri, bensì si amalgamano a creare un insieme nuovo e immaginifico.
La pianificazione urbanistica
In questa serie fotografica, i nuovi complessi urbanistici assumono un aspetto a volte antropomorfico, a volte vegetale, altre volte specchio di una qualche legge prospettica o fisica inusuale e per questo inquietante. Gli edifici sono il risultato di un processo di aggregazione di elementi ma appaiono comunque come costruzioni fra loro isolate, simili più a dei moduli di un plastico architettonico che a delle strutture integrate in un sistema urbano. C’è quindi una contraddizione tra la loro forza di aprirsi un varco nell’oscurità in cui sono immersi, la loro struttura, ed il loro isolamento. Sembra di assistere a un fallimento di questi punti di luce che si aggregano fra loro per costruire nuove realtà, le quali, tuttavia, rimangono isolate, ingabbiate nelle strutture che essi stessi hanno creato. Il riferimento è al senso di smarrimento ed estraneità davanti all’anonimato dei nuovi complessi abitativi delle periferie delle aree metropolitane, strutture sradicate, autonome e potenzialmente intercambiabili fra loro, senza nessun legame evidente con il tessuto urbano di riferimento.
Come si può osservare, la riflessione è articolata e condotta su direttrici di analisi riferibili all’antropologia urbana e alle possibilità, inedite e creative, derivanti da una nuova e modernainterpretazione degli spazi urbani in chiave fotografica.
Un set di approcci che rendono giustizia alla consapevolezza e alla maturità fotografica di Matteo Fedrizzi e che collocano questo lavoro entro un’area di ricerca e sperimentazione a cui è possibile attribuire un innegabile fascino estetico ed intellettuale.
Luca Chistè © | aprile 2011 |
Contatti autore: www.matteofedrizzi.com | foto@matteofedrizzi.com
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